QUEGLI AMORI OVERREACHER: DAL PRINCIPE DI SANSEVERO AL GRANDE GATSBY A LUIGI PIRANDELLO

enzo buonaNella Napoli settecentesca Raimondo di Sangro abitava il Palazzo Sangro, al civico 9 di Piazza San Domenico Maggiore. A pochi metri, in via Francesco de Sanctis, unita al palazzo da un cavalcavia crollato agli inizi del 1900, la famosa cappella Sansevero, chiamata anche Santa Maria della Pietà dei Sangro o anche Pietatella, fondata come sacello sepolcrale della famiglia da Giovanni Francesco Sangro (1590) poi rinnovata dal figlio Alessandro (1610) ed infine decorata da Raimondo.Cappella Sansevero è il racconto della vita del Principe, un uomo inquieto che incarnò lo spirito del settecento illuminista e preromantico di cui era figlio. Egli è l’incarnazione dell’ambizione umana, della corsa senza tregua ad un domani migliore. Non è disposto ad attendere il futuro, lui deve conquistarlo, deve sconfiggere la nozione stessa di tempo.

E quella cappella non è solo “contenitore dell’insieme dei ricordi”, ma è la capacità di conservare traccia più o meno completa degli stimoli derivanti dalle sue esperienza e di rievocarli. Memoria come “identità”, “tempo” e “coscienza” in lotta con quel mondo illuminista così veloce e frenetico dove all’essere umano veniva negato il “proprio tempo”, quello da dedicare alla riflessione, alla conoscenza di sé stesso e dell’altro, amplificando e accelerando il processo della dimenticanza, dell’oblio. Cosa che il Di Sangro combatterà con tutte le proprie forze anche attraverso strani e pericolosi percorsi alchemici.

Quel tema della memoria, tanto caro a Scott Fitzgerald che insieme ad Ernest Hemingway, furono gli autori più famosi della Generazione Perduta, quel gruppo di scrittori americani che espatriarono in Francia durante la Prima guerra mondiale. Il grande Gatsby, pubblicato nel 1925, ambientato negli anni ’20 tra New York e Long Island, racconta la storia di James Gatz, ovvero Jay Gatsby. Un uomo che viveva per realizzare il passato ed il suo sogno d’amore esasperato, esistenziale e drammatico. Gatsby è l’overreacher, colui che deve superare i limiti, il quale nella spasmodica tensione verso un obbiettivo, perde se stesso e autocondannandosi alla dannazione. Perché il Grande Gatsby non è un romanzo d’amore. Al massimo un romanzo sul masochismo. Gatsby, come Raimondo di Sangro, nella sua “discesa agli inferi” è il Dr Faustus di Marlowe, il Satana  di Milton. Gatsby è il self made man, somiglia al cavaliere della fede di Kierkegaard e all'Oltreuomo di Nietzsche. Gatsby come Raimondo di Sangro, hanno bisogno chi di un castello, chi di un palazzo per infilarci le loro passioni e la loro felicità. Il sogno di Gatsby è lo stesso del Principe: cancellare il tempo, sopravvivergli, sforzandosi fino alla morte per raggiungere la felicità attraverso la ricchezza e il potere, credendo di poterla raggiungere con la forza di volontà portata all'estremo ma che inevitabilmente fallisce. E questa contrapposizione culminare nell’affermazione del romanzo come nel film: “Non si può ripetere il passato”. E Gatsby rispondendo a Nick: “Non si può ripetere il passato? Ma certo che si può“.

Viene in mente Luigi Pirandello. “E l’amore guardò il tempo e rise”. Una poesia (che qualcuno però attribuisce ad Antonino Massimo Rugolo), che dietro una certa dose d’ironia, si nasconde un significato però profondo. Ci fa riflettere di come sia importante nella vita trovare un amore vero e profondo, che sappia resistere al tempo, alla morte e alle difficoltà. L’amore appunto “guardò il tempo e rise perché sapeva di non averne bisogno” E’ proprio in queste righe che cerca di dimostrare come il vero amore sia immune al tempo, alla distanza e alle differenze. E si legano in maniera indissolubile, visto che l’uno si esprime al meglio tramite l’altro, nonostante cerchi continuamente di ucciderlo.

E l’amore guardò il tempo e rise,

perché sapeva di non averne bisogno.

Finse di morire per un giorno,

e di rifiorire alla sera,

senza leggi da rispettare.

Si addormentò in un angolo di cuore

per un tempo che non esisteva.

Fuggì senza allontanarsi,

ritornò senza essere partito,

il tempo moriva e lui restava.

Vivere e soffrire in prima persona, assertivamente perché credere nei propri sogni e nell’amore è la più grande illusione ma anche la forza più potente in grado di dare senso alla vita.

*docente di marketing turistico e local development