La Stampa 1

DI ANTONIO CASTALDO

In Italia nella VII Legislatura il Parlamento in seduta comune, quella di giovedì 29 giugno protratta fino a sabato 8 luglio 1978, presieduta dall’Onorevole Pietro Ingrao, con 832 preferenze, con i voti di tutti i partiti, ma non dei missini, eleggeva, alla Presidenza della Repubblica, Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, detto Sandro (Stella, Savona 1896 -Roma 1990), Partigiano e Medaglia d’Oro della Resistenza.

Il giuramento avvenne il 9 luglio 1978 e così, il “socialista senza capi e senza correnti” come evidenziò “La Stampa”, venne consacrato Settimo Presidente della Repubblica Italiana. Il suo Settennato (1978-1985) fu segnato dalle proprie qualità di Cittadino e di Padre della Repubblica. Nel 40esimo anniversario dell’elezione di colui che è conservato, nella memoria popolare, come “Il Presidente più amato dagli Italiani”, l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che «L’elezione di Pertini avvenne in una delle stagioni più travagliate nella storia della Repubblica, mentre la società era attraversata da mutamenti profondi e l’attacco del terrorismo toccò il cuore delle istituzioni seminando morte tra uomini giusti servitori dello Stato. Il Presidente Pertini seppe interpretare i sentimenti di unità dei cittadini e mostrare a tutti, in primo luogo ai giovani, come solo salvaguardando e rafforzando i valori democratici sia possibile tenere insieme l’aspirazione alla libertà con quella alla giustizia sociale».

Tra gli innumerevoli italiani che ne conservano l’indelebile ricordo, vi è il sociologo e giornalista Antonio Castaldo il quale testimonia una personale esperienza: «Quelli erano gli anni della mia gioventù. Ero in Germania, a Wolfsburg, a lavorare sulla catena di montaggio della Volkswagen, quando le Brigate Rosse sequestrarono Aldo Moro, il 16 marzo 1978, per assassinarlo 55 giorni dopo. Il futuro Capo dello Stato denunciò l’inefficienza dei servizi segreti italiani, ma era convinto che dietro a quell’azione vi fosse una mente antidemocratica, che avrebbe voluto far tornare indietro di 50 anni l'Italia.  Ero a Reggio Emilia, a frequentare un corso di formazione IFOA e, per mantenermi, lavoravo di sabato e domenica nella carpenteria metallica dell’area artigianale di Novellara, quando la domenica sera del 23 novembre 1980 un tremendo sisma colpì l’Irpinia e la Basilicata provocando la morte e distruzione di interi paesi. Decine di migliaia furono gli sfollati e 2914 le vittime. Il Presidente Pertini fu il primo ad accorrere e a segnalare i gravi ritardi dei soccorsi. Un paio di giorni dopo ero anch’io a casa e partecipai alla raccolta locale di beni di prima necessità che portammo da Brusciano alla zona terremotata. Ero a Bologna, a lavorare nella Pubblica Istruzione, presso l’Istituto “Aldrovandi Rubbiani” quando avvenne la disgrazia di Vermicino, nei pressi di Frascati, dove il piccolo Alfredino Rampi cadeva, il 10 giugno 1981, in un pozzo maledetto. Dalla tv come tutti gli italiani vidi arrivare, il 12 giugno, il Presidente Pertini che rimase vicino ai familiari del bambino per tutta la notte e con loro apprendeva, alle 5 del mattino di sabato 13 giugno, dal costernato speleologo Caruso, dell’avvenuta morte di Alfredino. Ero a casa mia, a Brusciano, stabilito da 10 giorni nel lavoro presso il Comune di Brusciano, tra i miei cari, mamma Rosa e papà Ciro, i miei fratelli e sorelle, quando nel suo “Discorso di fine anno” il 31 dicembre 1982, il Presidente Pertini, condannando espressamente la mafia, difendeva il Popolo Siciliano, quello Calabrese e quello Napoletano che “sono contro la camorra e la mafia”. Io – ha continuato nel suo racconto Antonio Castaldo - vivevo in quei giorni la soddisfazione insieme ai miei familiari e la riconoscenza per l’ascolto dato dal Presidente Sandro Pertini al grido di denuncia e indignazione trasmessogli per corrispondenza. Nella notte del 23 novembre 1981, nel primo anniversario del terremoto in Irpinia, scrissi una lettera. Raccontai al Presidente Pertini la mia esperienza di vita e delle mie partecipazioni ai concorsi pubblici presso il Comune di Brusciano, dove notoriamente i candidati venivano discriminati e selezionati, ancor prima delle prove effettive, in base ad appartenenze familiari e politiche. In quei concorsi mi capitava di essere diventare puntualmente “Il primo dei Non Eletti”. La mia conclusiva richiesta nella lunga lettera al Presidente Pertini fu quella di poter vedere garantita la legalità durante i concorsi pubblici a Brusciano. Un riscontro dell’attenzione suscitata lo ebbi, con mia sorpresa e qualche timore, quando venni convocato presso gli uffici della Prefettura di Napoli dove ebbi un incontro riservato con un alto funzionario. A lui ribadii il bisogno di legalità rifiutando qualsiasi ipotesi di assistenzialismo. Non ho mai incontrato di persona il Presidente Pertini - ha concluso Antonio Castaldo - ma ho condiviso con lui la partecipazione ai funerali di Enrico Berlinguer (Sassari 1922 - Padova 1984) a Roma il 13 giugno 1984, insieme ad altri Bruscianesi fra i milioni di cittadini, militanti, simpatizzanti, votanti ed anche di avversari per rendere l’ultimo a colui che nel 1981, in una intervista ad Eugenio Scalfari, accusò la classe politica italiana di corruzione, dando origine alla cosiddetta questione morale, denunciando l’occupazione delle strutture dello Stato e delle Istituzioni da parte dei partiti, evidenziando il rischio rifiuto della politica generato dalla rabbia dei cittadini».