Tutte le dodici elezioni presidenziali, dalla prima alla seconda repubblica, sono state caratterizzate, alla vigilia, pur nella riservatezza, da giochi sotterranei, da calcoli elettorali, da lotte di potere, da ipocrisie, da tradimenti e da colpi di scena, indotti da eventi drammatici, come nel 1992, tra leader e capicorrente di partito, nonché tra partiti, anche risoluti e implacabili avversari ideologici.

Eppure, quasi sempre, la consapevolezza, da parte delle maggiori forze politiche, anche in extremis, di non pregiudicare l’autorevolezza della massima carica dello Stato e, con essa, lo spirito costituzionale e l’unità fondativa della Repubblica democratica, ha sempre prevalso su tutti i calcoli, miopi, meschini e di parte, eleggendo, unitariamente, figure di alto profilo, anche politico, le quali hanno garantito, con la susseguente grazia di stato, gli equilibri politico-istituzionali, nel rispetto della Costituzione: da De Nicola (1946) a Mattarella (2015).

 Ad un passo dalla fine di questa disgraziatissima legislatura, che meritava di essere sciolta subito, nata, nel 2018, da una vergognosa campagna elettorale, populista e demagogica, caratterizzata, poi, dall’alternarsi di governi, sostenuti da maggioranze litigiose, contrapposte, contraddittorie, irredimibili e inette, a causa di incapacità di gestione e di improvvisazione degli esecutivi, persino l’ultima, pur ammantata del velo di una presunta unità nazionale, quotidianamente vilipesa, tutte le forze politiche in campo, oggi, alla vigilia della tredicesima elezione presidenziale, stanno alimentando, aggravandoli, come era facilmente prevedibile, tutti i giochi “ipocriti e ricattatori” del passato, questa volta alla luce del sole, e mostrano di non avere alcuna idonea strategia di controllo della situazione parlamentare, frammentate, come sono, al loro interno. Pertanto, fanno temere di non possedere alcuna consapevolezza dei pericoli in agguato. Non si tratta, quindi, di eleggere soltanto un presidente della Repubblica, all’altezza dell’alto e arduo compito, ma di evitare il big bang della democrazia italiana! In quanto, per la dabbenaggine dei presunti leader, il fallimento di una elezione condivisa, in un quadro allarmante, sofferente e drammatico per le famiglie e per le imprese, porterebbe alla rovina del nostro Paese. E con ulteriori macerie, nulla sarebbe più come prima, nulla facilmente recuperabile.

Nonostante l’attuale conclamata sprovvedutezza di tutte le forze politiche, Unimpresa continua ad auspicare, come tutto il mondo imprenditoriale e del lavoro, una responsabile presa di coscienza, da parte del ceto politico, per una soluzione unitaria o largamente convergente, magari con l’intervento illuminante della Ragione. Sulla base del presupposto inoppugnabile che la missione dell’attuale governo (emergenza pandemica ed economico-sociale) non sia stata completata e che debba proseguire almeno fino al 2023, la strada maestra, ancora possibile, se perseguita unitariamente, dovrebbe essere la riconferma dell’asse Mattarella-Draghi o, in via subordinata, l’elezione al Quirinale di una personalità che garantisca lo stesso equilibrio politico-istituzionale. Ogni diversa opzione porterebbe alle dimissioni del governo Draghi e alla fine della legislatura, con elezioni politiche anticipate, in primavera, in un quadro caotico. Nessun’altra maggioranza, comunque risicata, sarebbe possibile, con la conseguente ingovernabilità della pandemia e della crisi economica, tornata angosciante con l’esplosione dei costi delle materie prime, a partire dall’energia, e dei prezzi dei beni di prima necessità. Senza contare, di riflesso, la disgregazione della coesione sociale, già in atto, che potrebbe minacciare direttamente le stesse istituzioni democratiche.

 *Segretario Generale Unimpresa