E’ stato celebrato, questa mattina - 21 settembre 2025- alle ore 11, presso la Cattedrale di Salerno, da Sua Em.za il Signor Cardinale Angelo De Donatis, Penitenziere Maggiore, il Solenne Pontificale in onore di San Matteo Apostolo ed Evangelista, Patrono della nostra città. Ad accogliere Sua Em.za il Signor Cardinale De Donatis, l’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, S.E. Monsignor Andrea Bellandi che, insieme al Vescovo Ausiliare S.E. Monsignor Alfonso Raimo, ha concelebrato il Solenne Pontificale, animato dal Coro della Diocesi di Salerno, diretto dal M° Remo Grimaldi e dalle corali delle parrocchie della città.
“San Matteo, dono di Dio, ci parla dell’esperienza del suo incontro con Gesù. Gesù che sceglie un pubblicano perché non c’è peccato che non possa essere vinto dal suo Amore”, ha osservato S.E. Monsignor Andrea Bellandi, per poi ringraziare per la presenza Sua Em.za il Signor Cardinale Angelo De Donatis, il quale ha anche donato alla nostra Arcidiocesi, con annessa indulgenza, la Benedizione del Santo Padre che S.E. Monsignor Bellandi ha letto ai fedeli.
Di seguito, l’omelia del Cardinale Penitenziere Maggiore, Sua Em.za Angelo De Donatis:
Carissimi fratelli e sorelle,
la solennità di San Matteo si colloca, per questa comunità diocesana, mentre si avvia il nuovo anno pastorale e le pagine della Scrittura vi sostengono e vi donano luce nel dare sostanza ai percorsi della vostra Chiesa e delle vostre comunità.
La pagina evangelica si apre con due azioni opposte tra loro: da un lato il Signore è in cammino ( mentre andava via) e dall’altro Matteo è seduto al banco delle imposte.
Il Figlio di Dio è in movimento, l’uomo peccatore è, invece, seduto, fermo, immobile. Il movimento di Gesù indica l’uscita da sé stesso, la disponibilità ad andare incontro agli altri, l’ansia e l’urgenza salvifica, l’ansia di annunciare, senza rallentamenti, la bellezza del Vangelo e la solidità del Regno di Dio.
Il peccatore è seduto, tutto concentrato, troppo attento al proprio io, totalmente occupato da se stesso, troppo curvo nel contare i soldi, troppo affannato da un accumulare senza carità, troppo concentrato per non accorgersi dell’altro, affettivamente congelato perché l’altro diventa solo un oggetto da ingannare e da sfruttare. L’uomo, il cui cuore è in movimento, è libero, l’uomo seduto è schiavo e non riesce proprio a sentire la leggerezza della figliolanza, non riesce proprio a sentire la forza di quello che Paolo, nella seconda lettura, dice di se stesso: io prigioniero a motivo del Signore.
Ma uno sguardo ed una parola cambiano la scena: vide e “seguimi”. Qui dentro si gioca il futuro della nostra identità e anche la solidità delle nostre comunità, qui dentro c’è la radice di ogni percorso pastorale, di ogni esistenza, qui trova sorgente e radice la nostra vita cristiana.
Non si tratta subito di mettersi all’opera, di cominciare a fare, di progettare in modo geometrico piani e azioni di evangelizzazione, ma di partire contemplando uno sguardo che ci ha sedotti e una Parola che ci ha rigenerati.
Oggi questa Chiesa, ognuno di noi sente il fascino di quello sguardo, uno sguardo che ci ha conquistati. Perché quello sguardo è così decisivo? Esso esprime la realtà di un amore totale che ci ha avvolti; è uno sguardo impregnato del fuoco dello Spirito, che ci abbraccia e ci coinvolge In quello sguardo ci sentiamo generati, in quello sguardo ci sentiamo nuovamente creati, partoriti ad una vita meravigliosa che non ha mai fine. E’ lo sguardo eterno di Dio che si è posato, senza mai interrompersi, sull’unicità di ciascuno di noi e che ci commuove, ci scuote, ci converte, ci rinnova. Sarebbe proprio una grazia se ogni nostra azione pastorale, se tutto ciò che stiamo pensando per le nostre comunità, sia preceduto dalla contemplazione dello sguardo del Signore sulla nostra comunità.
La Parola seguimi non ha alcuna introduzione, nessuna premessa, nessuna spiegazione, non offre chiarimenti su condizioni e regole, diremmo noi oggi, d’ingaggio. E’ una parola lapidaria e se ci, facciamo caso, quando il Signore, dice a qualcuno “seguimi” sta chiedendo tutto, davvero tutto. Si mette in moto l’amore, tutto l’amore che ci è stato ricordato nel testo del Deuteronomio: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Il Signore vuole fissare, scolpire nel cuore il suo interesse di bene per ciascuno di noi e ci chiede una totalità che non lascia niente a noi stessi. Si entra in una dinamica di gratuità che fa della sequela, senza parole, la sostanza della nostra testimonianza. Rispondere al seguimi del Signore significa spogliarsi, farsi poveri, per dare tutto.
Il punto sarà consegnarci: oggi la sequela chiede una spoliazione. Non si può essere discepoli senza lasciarci spogliare dalla vita e scoprire che mentre perdiamo tutto, in realtà, stiamo indossando l’abito nuovo, quello delle nozze. Il “seguimi” sembra condurci a dire al Signore una preghiera coraggiosa: Signore, toglimi tutto, ma mai l’amicizia con Te. Non importa sapere dove devo seguirti, divento addirittura indifferente alla modalità della sequela, mi distacco da ogni tentativo maldestro di provare a organizzare i tempi e a dosare gli sforzi della risposta, m’interessa perdere tutto, essere privato di tutto, ma non voglio più perdere l’amicizia con Te. Mentre il Signore ci dice: Seguimi diventa un assoluto essere suoi amici.
Solo allora ci si può alzare e dalla immobilità iniziale ci si mette realmente in movimento, ci si alza e si risorge e si diventa consapevoli davvero dell’impagabile onore di essere stati scelti, chiamati, cercati e visti dal Signore. Ora si può correre, ora saremo tutti una Chiesa credibile, ora potranno prendere forma i percorsi pastorali delle nostre comunità. Siamo talmente spogliati che la sostanza della sequela sarà l’essere appesi come il Crocifisso, saremo talmente spogli che l’unica preoccupazione che avremo sarà donare agli altri ciò che è fisso nel cuore. Ci ha ricordato la prima lettura: questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore, li ripeterai ai tuoi figli, né parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.
Dall’essere spogliati, quando a noi non rimarrà neanche un frammento di noi stessi, allora prenderà forma l’azione pastorale e sentiremo la gioia di non dover inventare nulla, non avremo l’ansia di dove costruire, ma semplicemente sapremo narrare ai nostri figli, sapremo camminare per le vie del mondo, raccontando la seduzione di un amore che ci ha spogliati e della bellezza di consegnarci. Il “seguimi” ci chiede franchezza nel cuore, ci chiede azioni pastorali credibili, ci chiede di essere discepoli che non porteranno un vangelo modificato, zeppo di piccoli compromessi, di qualche annacquamento o grigiore, ma porteremo il Vangelo che salva, nella sua genuina limpidezza.
Sarà solo così che cominceremo a sederci a tavola, il nostro cuore sarà una mensa universale come è diventata la tavola di Matteo. Spogliati interiormente, spogliati anche dalla vita, sapremo comprendere la forza della mensa. Noi stessi, oggi siamo qui, spogliati, poveri, e questa condizione ci permette di stare seduti, insieme, alla stessa mensa. Nessuno tra noi è più degli altri, ma ci facciamo insieme mendicanti di un amore già abbondante che abbiamo ricevuto, ma che chiediamo ancora, insieme, perché ne abbiamo sempre bisogno.
Sentiamo vicine quelle popolazioni sofferenti, private della loro dignità, e chiediamo l’intercessione di San Matteo - usando le parole di Papa Leone- per una pace disarmata e disarmante.
L’unità tra noi non sarà così uno sforzo necessario, un programma da mettere in atto, ma ci sarà tra noi il vincolo della pace, perché uno solo è l’amore che si è messo in movimento, uno solo è l’amore che ci ha guardati, uno solo è l’amore che ci ha parlato, una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati. Siamo fratelli e sorelle, insieme mendicanti di amore, totalmente spogliati, ricchi solo della sua amicizia, contenti solo di seguirLo e orgogliosi solo di annunciarlo.
La misericordia, che con abbondanza ci viene donata in questo Anno Santo, è la sola nostra certezza e saremo noi stessi, colmi di stupore, nel vedere come questa misericordia ci fa apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri: davvero questa misericordia sarà la sostanza che dona identità alla Chiesa.
“Misericordia io voglio, non sacrifici”: qui trova pienezza il cammino di Matteo e il nostro cammino. Il Signore ci vuole aiutare a non cadere in un equivoco. La gioia di averLo incontrato non si potrà ridursi ad un donare. E’ vero, donare è un verbo ricco, è meraviglioso donare, ma potremmo rischiare di rimanere nel livello del dono, la misericordia è di più. La Misericordia cui ci chiama il Signore ci permette di comprendere che se si comincia con il donare, bisogna finire con il consumarsi che coincide con la misericordia. Il donare potrebbe rischiare di rimanere solo in un ambito di gratuità, che seppure preziosa, non ci ha ancora portato nel cuore della misericordia. Il consumarci ci spoglierà davvero e farà di noi un segno reale di misericordia.
Ringraziamo San Matteo, ci prenda per mano e come Lui ritorniamo a quello sguardo e a quelle parole del Figlio di Dio, che non ha esitato a consumare se stesso per amore, che oggi, su questa mensa continuerà a consumarsi e a guarire ogni ferita, e ci fa alzare finalmente da quel banco delle imposte per condurci a vivere una sequela umile, disinteressata, coraggiosa: spogli di tutto, dove tutto si consegna, nulla si trattiene e dove ogni risorsa e ogni passo sono totalmente proprietà del Padre per sempre. Amen.