Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

Stampa
Visite: 3912

enzo buona'A MPEPATA 'E COZZ', IL PIATTO AMATO DAL POPOLO CHE PIACEVA AI RE

Cosa sarebbe Napoli e la Campania, senza a “ ’mpepata e cozze”? Quanti di noi non hanno mai maneggiato a casa e con gli amici i coisiddetti ferri del mestiere: la retina di ferro per il guscio, e un coltellino affilato o una capace pinza per strappare la barba, o lo struppone, come si dice a Napoli. Basta girare per i vicoli della città specialmente tra Porta Capuana e Porta Nolana, a ridosso della Stazione Centrale, per rendersi conto che ogni trattoria ha fatto di questa semplicissima ricetta, un vero piatto d’eccellenza del proprio menù. 

 

Risultati immagini per MPEPATA E COZZE

E il must del giovedì Santo a Napoli dopo aver terminato i Sepolcri. Ottima come antipasto, può essere servita anche come secondo di pesce. Le cozze erano considerate piatto prelibato già nel Paleolitico quantunque i francesi si vantano di aver creato il primo allevamento di cozze nel VIII secolo. L’impepata a Napoli vanta origini nobili. Primo fra tutti, Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli dal 1759 al 1816, conosciuto anche come Ferdinando I delle Due Sicilie e Ferdinando III di Sicilia. Famoso anche come il re lazzarone o il re nasone, a tavola era considerato un pozzo senza fondo. La sua voracità era causa di continue e disastrose indigestioni e coliche. Era ghiotto di tutto in particolare dei frutti di mare che spesso pescava lui stesso nei laghi Patria e Fusaro (quelli più pregiati), e sugli scogli di Posillipo e Marechiaro quelli più comuni. Aveva anche creato una ricetta con le cozze: le cozzeche dint’ ’a connola, le cozze nella culla dove la culla era un grosso pomodoro di Sorrento imbottito con cozze e un raffinato impasto ad hoc.

Si narra addirittura e non è una leggenda, cercasse di vendere qualcosa a prezzi maggiorati. Insomma una sorta di Masaniello del XVIII secolo. Un anno il re, per la cena del giovedì santo, volle accettare l’ammonimento di un padre domenicano, un tal Gregorio Maria Rocco, che gli aveva consigliato sobrietà a tavola almeno durante la settimana santa. Ferdinando era a suo modo molto religioso per cui non avrebbe mai trasgredito a cuor leggero agli obblighi del buon cristiano. Tanto più se questi obblighi gli venivano ricordati da padre Rocco che non era un monaco qualunque.

Allora il monarca, pur di non rinunciare alle sue amate cozze ordinò ai cuochi, prima di recarsi a via Toledo per lo struscio di rito, di cucinare i mitili in maniera più leggera, solo con pomodoro e salsa piccante di peperoni. Ma la notizia si diffuse per la città e da quel giorno tutto il popolo, volle seguire l’esempio del re mangiando quella gustosa zuppa che poi talvolta i napoletani sostituirono con quelle di lumache (ciammarruche), preparata con il medesimo sugo di quella di cozze. Col passare degli anni, l’impepata di cozze fu un po’ dimenticata, quasi come fosse un piatto povero, da relegare alla cucina modesta, finché il cuoco “artista” Vincenzo Corrado, vissuto tra il ‘700 e l’800, non la inserì nel suo libro di alta cucina: “Il cuoco galante”.

Ma come si presenta la “mpepata do cozze? Va servita ben calda. Le cozze, cotte quanto necessario alla loro apertura, vengono insaporite con olio, aglio e abbondante pepe nero macinato al momento. Magari accompagnandola con fette di pane casereccio abbrustolito a bruschetta e una bella fetta di limone abbinandola ad un vino proveniente dai dintorni di Napoli come un Greco di Tufo, con le sue note agrumate, oppure un Solopaca di Benevento, più asciutto ed elegante, oppure ancora una Falanghina o un Capri, molto caratteristici. Come pure un Fiano andrebbe ugualmente bene.

Ma in un prossimo futurio potremmo più non godere di questa squisitezza. Il rialzo della temperatura dell’acqua, cinque-sei gradi in più lungo tutta la costa del tirreno, sta mettendo in serio pericolo la mitilicoltura. Inoltre il raddoppio del Canale di Suez, ha rappresentato il corridoio d’ingresso di circa moltissime specie aliene invasive, nel Mediterraneo. Uno studio di pochi anni fa, del National Institute of Oceanography ha scoperto al largo di Israele 338 specie aliene, dove molte si nutrono di molluschi mitili e crostacei, perturbando la catena alimentare marina. 

*docente di Marketing Turistico e Local Development

Autenticati