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Ciak si visita: Posillipo, Palazzo Donn’Anna e Villa Volpicelli. Da "Totò, Peppino e la malafemmina" a "Il Giovane Favoloso";  da "I Bastardi di Pizzofalcone" ad "Un posto al sole".

Posillipo (Pusìlleco in napoletano), dal greco "Pause" e "Lypon", ovvero cessazione dei dolori, perché luogo ameno fino al ‘600, era però un luogo impervio e lontano dalla città.

La bella strada infatti, sarà costruita solo nel 1812 per decreto di Murat, allo scopo di collegare meglio Napoli con i campi Flegrei e Pozzuoli. Un contesto storico di grande livello: si possono tutt’oggi notare tracce greche dei templi della Dea Fortuna, di Mercurio, Venere Leucothea e Mithra. Di Mithra, in particolare, al trentesimo gradino della scala che porta alla famosa Finestrella di Marechiaro (ispiratrice della celebre canzone “A Marechiaro” di Salvatore di Giacomo) è ancora visibile un marmo incastonato nel muro che rappresenta la divinità solare di origini indo-iraniche. Dai romani Posillipo fu poi chiamato Ammeus, toponimo per identificare la collina che ospitava le ville di Virgilio, Cicerone, Caio Mario, Pompeo, Vedio Pollione.

Posillipo la ritroviamo in film quali Le Quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy, Totò, Peppino e la malafemmina (1956) luogo d’appuntamento di Gianni e Marisa, in Troppo napoletano di Gianluca Ansanelli; in "L’Uomo in più", di Paolo Sorrentino con Toni Servillo e Andrea Renzi; ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone del 2014, che racconta la vita di Giacomo Leopardi, ma anche in fiction di successo come Un Posto al Sole, I Bastardi di Pizzofalcone, L’amica Geniale 2.

A far da scenario nella maggior parte dei casi, due splendidi palazzi napoletani: Palazzo Donn’Anna e Villa Volpicelli.

A Palazzo Donn’Anna, Dolce e Gabbana hanno fatto un megaparty sulla spiaggia tre anni fa;  Raffaele La Capria, ne fece uno dei luoghi del suo "Ferito a morte; Mario Martone ne “Il giovane favoloso” che racconta la vita di Giacomo Leopardi, ne girò qualche scena. Come pure ciak in I Bastardi di Pizzofalcone con Alessandro Gassmann. E’ un palazzo bellissimo ma dalla parvenza spettrale, perché, come scrisse anche Matilde Serao, sembra che li ci fossero i fantasmi. Come quello della bella nipote di Donn’Anna, Mercedes de las Torres, finita male dopo aver baciato l’amante della viceregina.

Infatti, Palazzo Donn’Anna, fu progettato e mai finito, nel 1642 da Cosimo Fanzago per la moglie del viceré Ramiro Nunez de Guzmàn, Anna Carafa, ricchissima principessa di Stigliano, il miglior partito di Napoli nel ‘600. Il suo matrimonio divenne in Spagna un affare politico internazionale: lei, unica erede di incroci dinastici dell’intera penisola, sposò a Palazzo Cellammare, altra proprietà della Carafa, Ramiro Núñez de Guzmán duca di Medina, tesoriere del Regno d’Aragona ed ex genero vedovo della figlia del Duca Conte di Olivares, il favorito di re Filippo IV. Fiera della sua discendenza, la principessa, la cui bruttezza, secondo Benedetto Croce, era leggendaria, vestiva alla veneziana definendosi «figlia e neppote di due nobili veneziane» (la madre Elena Aldobrandini imparentata con papa Clemente VIII e Isabella, storiche alleate di Venezia). Quando Don Ramiro fu richiamato nel 1644 in Spagna, Anna, allora incinta rimase a Portici, nel Palazzo Capuano dove era nata: ma morì poco dopo, a 34 anni, per conseguenze post-parto e dicono le cronache, sommersa dai pidocchi. Dopo di lei anche la regina Giovanna I d’Angiò, si dice, ci trascorse tante notti coi suoi amanti pescatori, i quali poveretti, secondo la leggenda, dopo aver consumato l’atto d’amore con la regnante, venivano uccisi e gettati a mare prima che potesse albeggiare. Nel tempo Palazzo Donn’Anna divenne  anche la meta dei party dei nobili napoletani, che amavano raggiungerlo con le proprie navi e godersi i fuochi d’artificio a mare.

Da Palazzo Don Anna andiamo a Villa Volpicelli, famosissima per essere da 1996 il Palazzo Palladini in “Un Posto al sole”, soap seguita da 2 milioni di quotidiani ed affezionati telespettatori. Un successo derivante anche per la scelta delle tematiche, sempre al passo dei tempi ed a grande rilevanza sociale. Come quelle della camorra, presente sin dagli inizi, che voleva prendere possesso dei Cantieri Palladini; come quelle sulla violenza alle donne e familiari, sull’omosessualità, la tossicodipendenza, il cyber bullismo, la piaga dell’usura. Ormai gli appassionati conoscono come le proprie tasche i lussuosi interni di casa Ferri, la terrazza panoramica dove vive la famiglia Boschi, ed il rigoglioso giardino curato dal portiere Raffaele.

Villa Volpicelli, la cui forma ricorda quella di un castello, è riconoscibile anche a distanza per le due torri centrali collegate fra loro e tinte di rosa antico. E’ circondata da un ampio giardino che, nascosto dall’alta cinta, giunge sino al mare e sfiora le proprietà di Villa Rosebery, una delle tre residenze del Presidente della Repubblica. Grazie alle carte del 1627 dello storico Alessandro Baratta intitolate “Fidelissimae urbis neapolitanæ cum omnibus viis accurata et nova delineatio aedita in lucem ab Alexandro Baratta”, Villa Volpicelli doveva esistere già prima del ‘600, di proprietà del ricco Pietro Santacroce e che alla sua morte andò al demanio e poi rivenduta, nel 1775, ai Principi di Ischitella per scopi difensivi. Un utilizzo non casuale perché il porticciolo di Riva Fiorita, veniva sfruttato come approdo per le grandi imbarcazioni, e in queste acque ormeggiavano le navi dei più importanti nobili napoletani. Divenne un vero fortino sotto la dominazione dei Borbone. Nel 1884 fu comprata da Raffaele Volpicelli all’asta, 51mila lire. Per la sua ristrutturazione spese 800mila lire. Una cifra altissima per l’epoca se si pensa che il capitale della Fiat di allora era di 1 milione. Sebbene sia una dimora privata, e non la si possa dunque visitare quando si vuole, ci sono occasioni speciali in cui è possibile farlo. Talvolta  è la stessa Rai di Napoli a organizzare delle visite guidate per visitare i set interni.

 

*Docente di marketing turistico e local development