enzo buona"O CASATIELLO" NAPOLETANO, LA PASSIONE DI CRISTO A TAVOLA

Simboleggia la Passione di Cristo,  quindi mangiarlo dovrebbe essere una espressione di fede nel miracolo della Resurrezione. Nel 1800 uno studioso, D’Ambra, definì questo rustico: ”pane condito con sugna e un po’ di pepe, avvolto in una ciambella di grossa forma, con uova intere”. E’ vero, Pasqua è il suo giorno, ma nell’era di snack e merendine, con il suo fratellino minore, il tortano, è il più fedele compagno nelle gite fuori casa.

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Il nome deriva da caseus (formaggio), in napoletano caso, e a Napoli nasce nel seicento tra i vasci, come rustico simbolo religioso, ma, fino al secolo scorso, anche come augurio portato in dono a Pasqua al proprio fidanzato, il quale in cambio, alla sua promossa sposa, donava un uovo di cioccolato, anch’esso simbolo di fecondità e fertilità.

Come per le pulizie di primavera, il casatiello ha sempre rappresentato un rito, una sorta di pulizia delle dispense, attingendo a quelle quantità di cibo e salumi non consumati durante i pranzi. Un impasto di “nzogna” per dare morbidezza, intriso di pepe e formaggio grattugiato, lasciato lievitare e rimpinzato di cubetti di salame, ciccioli, mortadella, prosciutto, capocollo, pecorino, provolone, parmigiano e chi più ne ha più ne metta.  Ipercalorico insomma! Tutto in una specie di rotolo, dove in superficie vengono inserite le uova intere, tenendole ferme con due striscioline di pasta disposte a croce.

Il casatiello, infatti, è pieno di simboli religiosi cristiani che ricordano la Pasqua: secondo la tradizione, infatti, sulla superficie dell’impasto si devono incastrare uova sode intere col guscio fissate da pezzi incrociati di pasta, a croce, per ricordare la passione di Cristo e soprattutto la sua corona di spine mentre, invece, la forma ad anello indica la continuità poiché la Pasqua simboleggia sia la morte che la rinascita.

E’ così che, mangiando quei pezzi a croce, ci si dovrebbe ricordare del calvario del Salvatore lenendo la (sua e nostra) sofferenza. Inoltre, la farina simboleggia il pane e la sua ricchezza, gli insaccati ricordano il maiale sacrificato anch’esso simbolo di fecondità e di benessere, che all’epoca, nelle case, lo portava appunto il maiale.

In Campania il casatiello è documentato sin dal 1500 nell’opera di Giambattista Del Tufo “Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli” con una breve composizione in lode del Casatiello intitolata “Usanza pasquali e cassatelli napoletani”: “A Pasqua poi non son più dolci quelli chiamati cassatelli cotti con uova, cacio e provature, zucchero fino, acqua di rose e fiori, e con altra mistura, come si fanno allor per ogni canto la sera al tardi del Sabato Santo”.

Nel 1600 il Casatiello (insieme alla Pastiera) fa una ulteriore comparsa nella favola “La gatta Cenerentola” di Giambattista Basile, che descrive i festeggiamenti del Re per trovare la fanciulla che aveva perso la scarpetta: “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato“.

I motivi per cui il casatiello si preparasse solamente a Pasqua non sono solo religiosi, anche pagani: in antichità, non tutti si potevano permettere alimenti ritenuti dei ricchi; se ne faceva eccezione a Natale e Pasqua, dove il popolino, e solo in quei giorni, cercava di assomigliare ai ricchi padroni. Infatti la Pasqua napoletana, almeno fino all’Ottocento, era considerata la festa dell’ostentazione, dello sfarzo a cui nessuno poteva rinunciarvi. E per una settimana, l’aria che si respirava era imbalsamata di incenso che usciva dalle chiese, di dolci e pastiere che invadevano le strade e dai profumi delle nobildonne che davano sfoggio delle loro ricchezze.

Le donne povere allora si riunivano e impastavano insieme, e ciò diveniva un momento di compagnia dopo tanto lavoro svolto in solitudine in casa o nei campi. Tutte le donne si susseguivano a cuocere il casatiello e le altre leccornie dando così al rustico quella forte valenza tradizionale napoletana di condivisione familiare, tramandata fino ad oggi.

Infine esiste una variante dolce del casatiello, diffusa per lo più nel casertano, nell’area vesuviana costiera, nel nolano e soprattutto dell’isola di Procida attorno alla quale, nell’isola ruota un mistero: il mistero degli ingredienti. Ogni famiglia, infatti, possiede una ricetta antica e tradizionale che si tramanda di padre in figlio e non viene rivelata né a parenti né ad amici.

*Docente di marketing turistico e local development