PASTA FOREVER: DA QUEI POVERI "MANGIAMACCHERONI" DEL '700 AI SUPERMEN GRAGNANESI DI OGGI 

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Tra fine Cinquecento e inizio Settecento a Napoli ci fu una vera e propria rivoluzione alimentare: si iniziò a mangiare la pasta. Da “mangiafoglie” (mangiatori di verdure) i napoletani divennero “mangiamaccheroni”. La pasta cominciò ad assumere, anche a causa delle carestie, il ruolo di alimento prioritario e nutritivo. La pasta veniva cucinata per strada, bollita in grandi calderoni; l’obiettivo era quello di “régnere a panza”. Nelle vie comparve la caldaia del maccaronaro affiancata dalla scodella di cacio grattugiato e pepe, unico condimento dei maccheroni plebei prima dell’arrivo del pomodoro.

 Due erano le categorie di maccaronari di strada: gli stanziati, che avevano una postazione fissa, cuocevano al momento i maccheroni, servendoli ancora caldi. Spesso i maccheroni, comprati in strada, erano mangiati con le mani, soprattutto dal lazzaro, dallo scugnizzo, dall’uomo del popolo.

Poi c’erano gli ambulanti, che giravano per le stradine di Napoli con una cesta colma di maccheroni, attirando la popolazione con grida, utilizzando un vero e proprio slogan: “Doje allattante!” che significava “due centesimi per una pietanza che nutre!”.

I tanti viaggiatori della Napoli del Grand Tour, guardavano stupefatti l’abilità dei napoletani nel portarsi alla bocca i cocenti maccheroni. Fu sdoganato definitivamente il termine “mangiamaccheroni”.

In pochi anni Ferdinando II avvia la produzione della pasta. I luoghi scelti furono Gragnano e Napoli a cui si aggiunse anni dopo Torre Annunziata. Ma fu Gragnano a meritare il titolo di capitale della pasta. La vera data di inizio di “Gragnano capitale della pasta” fu il 12 luglio 1845, giorno in cui Re Ferdinando II di Borbone, durante un lauto pranzo, concesse ai fabbricanti gragnanesi il privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe.

Perché Gragnano fu la prescelta? Per motivi meteo e logistici: da un lato, i Monti Lattari, che bloccavano il passaggio dei venti da ovest verso est mentre tramontana e scirocco si incanalavano fra le vie della città, favorendo l’essiccazione. Dall'altro, il mare di Catellammare, porto sicuro dove avviare il commercio, ma non solo: a Gragnano, grazie al re Umberto I e sua moglie, la regina Margherita di Savoia, fu costruita una stazione ferroviaria che collegava Gragnano a Napoli, in quanto i pastifici avevano l’esigenza di trasportare velocemente la pasta a Napoli per poi imbarcarla sulle navi e portarla all’estero. A fine ’800 il 75% della popolazione attiva locale lavorava nell’industria molitoria. I pastifici erano un centinaio e producevano oltre 1000 quintali di pasta al giorno.

Via Roma era la via caratteristica dei pastai: 500 metri di botteghe, trafilari, canne per l'essiccazione. Era una strada ad uso solo della produzione senza nessuna abitazione. Era perfetta per le sue curve a S, per far incanalare il vento necessario all'essiccazione. Inoltre la pavimentazione di basolato tratteneva molto bene il calore, era perfetto per l'asciugatura della pasta. La brezza termica diventava fondamentale nel meccanismo di asciugatura. L'aria calda dalla parte bassa della città andava verso l'alto, ma i Monti Lattari la riportavano indietro. Dal momento in cui incontrava la montagna, l'aria iniziava a girare e, ancora carica di umidità, asciugava la pasta. La parte finale di via Roma, dove il vento era più forte, era quella riservata ai “pastafinari”, artigiani che producevano formati insoliti.

Così, una dopo l'altra, le botteghe di pasta si susseguirono in quei palazzetti stretti costruiti in asse, molti dei quali con ancora oggi le insegne del tempo. A ogni formato di pasta, dunque il proprio tempo di essiccazione (per lo spaghetto, per esempio, in estate, ci volevano sulle 30 ore).

Non a caso il detto popolare “si impasta con lo scirocco e si asciuga con il maestrale. Ma non solo, oltre a fare da barriera ai venti, le montagne, con la loro roccia calcarea e vulcanica donavano a Gragnano anche la materia prima ai vari mulini della valle: l'acqua, quella del torrente Vernotico, alimentato dalla sorgente Forma. Insomma un terreno leggero da consentire all'acqua di scorrere velocemente.

Nella Valle dei Mulini, l’altissima qualità della semola di grano duro, era macinata in loco da ben 30 mulini, tra cui, Parmente, Giobatta di Nola, Porta di Castello, La Mena, La Grotticella, Porta di Castello Sotto, Eredi Antonio di Nola, Antonio Grasso, La Fusara, Andrea La Rocca, Lo Monaco, La Pergola, ecc… Oggi, ne sono rimasti pochi. I mulini furono abbandonati perché la forza del vapore aveva superato quella dell’acqua.

Gragnano, nel tempo e malgrado le crisi, è un modello di sviluppo locale agroindustriale che è studiato in tutto il mondo. Infatti Il famoso street artist Jorti Agoch, ha celebrato Gragnano, con un’opera che ritrae la celebre scena di “Miseria e Nobiltà” in cui Totò mangia gli spaghetti con le mani.

Attualmente sono attivi una ventina di pastifici, da quelli industriali a quelli artigianali. Molti sono confluiti nel Consorzio “Gragnano Città della Pasta”, fondato nel 2003 e del quale fanno parte La Fabbrica della Pasta, Il Mulino di Gragnano, Garofalo, Liguori, Afeltra, Pastificio D’Aragona, Pastificio D’Aniello, Antiche Tradizioni di Gragnano, Il Re della Pasta, Pastificio Massa, Oro di Gragnano, Cooperativa Pastai Gragnanesi, Pastificio Di Martino, Pastificio Dei Campi. Altre cinque eccellenze pastaie artigianali gragnanesi e cioè Faella, Gentile, Di Nola, Carmiano e il Vecchio Pastaio, invece hanno preferito al momento, una via diversa dal Consorzio, una più flessibile rete di imprese, mediante un nuovo brand “La Selezione”.

La Pasta di Gragnano è oggi un prodotto I.G.P secondo quanto previsto dalla Gazzetta Ufficiale n. 198 del 25 agosto 2010, che ne disciplina l’indicazione geografica protetta: la pasta deve essere prodotta all’interno del Comune di Gragnano solo con semola di grano duro e acqua delle falde acquifere locali. L’estrusione dell’impasto deve avvenire attraverso trafile in bronzo. L’essiccazione deve compiersi a una temperatura compresa tra i 40° e gli 80° C. Dopo il raffreddamento (entro 24 ore) la pasta deve essere confezionata, ma senza subire spostamenti, in modo che il prodotto si conservi alla perfezione. Obbligatoria la presenza per il 13% di contenuto proteico.

Oggi la produzione della pasta gragnanese è pari a 10mila quintali al giorno per un fatturato totale di 250 milioni di euro: ciò ha consentito di passare da un residuale 1,5% di quota di mercato a un poderoso 10%. Un mercato prevalentemente estero se si considera che il 70% della produzione è destinato a 42 nazioni diverse. E Gragnano rappresenta il 5% della forza lavoro del settore in Italia. Ma la pasta, malgrado i grossi processi di industrializzazione resta comunque un'invenzione urbana, ed è nelle città che ancora oggi viene consumata maggiormente. Nelle campagne solitamente si fa ancora la pasta fatta in casa. Quella di grano duro è utilizzata soprattutto nei luoghi dove i ritmi di vita sono più frenetici, e lasciano poco tempo alla cucina.

*prof di marketing territoriale e local development