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Impatto dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche sotterranee –  Confservizi Piemonte e Valle d'Aosta

Il Sesto Rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC)[1] evidenzia una situazione di drammaticità senza precedenti nella storia degli studi sul clima. Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha parlato di "codice rosso" per l'ambiente del nostro pianeta, una situazione che ci sta dirigendo verso un punto di non ritorno.

I cambiamenti climatici sono inequivocabilmente causati dall'azione dell'uomo, lo dimostrano i dati della crescita delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera e dell'aumento della temperatura del pianeta, a partire dall'epoca industriale.

Ovviamente non può essere ignorato il contributo dovuto alla crescita demografica globale della popolazione, che è pari a circa 75 milioni di individui ogni anno (+ 1,1% all’anno), un fenomeno che ha portato la popolazione mondiale, da circa 1 miliardo di persone agli inizi del 1800, a 7 miliardi nel 2011. Non può esistere uno sviluppo infinito in un sistema con risorse finite, questa è una regola generale che va oltre le buone pratiche di consumo. Più individui significa più consumo di energia e un maggiore sfruttamento delle risorse idriche, per bere e per produrre cibo; l'aumento della popolazione globale concorre quindi ad incrementare l'effetto serra, l'inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici.

La regione Mediterranea è considerata uno degli “hot spot” del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale e una riduzione delle precipitazioni in contrasto con l'aumento generale del ciclo idrologico nelle zone temperate[2].

Ricordiamo a tal proposito che i +48.8 °C registrati l’11 agosto 2021 a Siracusa costituiscono il valore di temperatura più alto mai registrato nel nostro continente da quando si monitorano questi dati.

Tra le conseguenze della pandemia generata dal Covid-19 si è registrata una consistente riduzione delle emissioni inquinanti atmosferici ed un temporaneo miglioramento della qualità dell’aria a livello globale, ma nessun effetto sostanziale sulla concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e conseguentemente nemmeno sulla temperatura del pianeta. Per il contrasto di questi fenomeni sono infatti necessarie azioni di grossa entità e che siano mantenute per lunghi periodi di tempo.

Cosa dicono gli studi?

Le profondità dei ghiacci polari e della Groenlandia costituiscono un prezioso archivio naturale di informazioni sul clima e sulla natura dell’atmosfera terrestre, che lì si sono conservate per centinaia di migliaia di anni. Attraverso i carotaggi gli scienziati sono in grado di prelevare campioni di ghiaccio sino a chilometri di profondità e gli studi della loro composizione hanno permesso di comprendere l’evoluzione delle caratteristiche chimiche della nostra atmosfera, attraverso le concentrazioni di CO2 e di molte altre sostanze nel corso degli ultimi 800.000 anni.

La ricostruzione dei dati mostra che, da epoche remote sino all’era industriale, i valori massimi della concentrazione di CO2 si attestavano intorno ai 280 ppmv (parti per milione in volume), con un andamento altalenante dovuto a meccanismi bio-geochimici naturali (es. eruzioni vulcaniche, incendi, ecc) e alle variazioni di energia ricevuta dal Sole, responsabili di ere glaciali e fasi interglaciali che si sono alternate con periodi di circa 100.000 anni.

A partire dall’epoca industriale, ovvero dalla metà dell’800 ad oggi, tali concentrazioni mostrano un andamento totalmente anomalo rispetto al passato, con un incremento continuo e repentino dei valori che hanno abbondantemente superato, ormai da diversi anni, soglia 410 ppmv.

La crescita continua dei valori di anidride carbonica in atmosfera e di altri gas serra hanno contribuito all’aumento dei valori della temperatura media del pianeta, un riscaldamento che, secondo gli studi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), ha causato nell’ultimo secolo l’aumento di circa 1°C a livello planetario rispetto all’era preindustriale.

La tendenza al rialzo potrebbe portare a conseguenze disastrose entro la fine del secolo: il raggiungimento della soglia di + 1,5°C attorno al 2040 è indicato come limite da non superare per non innescare effetti catastrofici globali.

Per meglio capire le dinamiche del riscaldamento globale occorre comprendere il fenomeno che mette in correlazione la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera e l’aumento della temperatura: l’effetto serra.

Come funziona l’effetto serra?

La causa del riscaldamento globale va ricercata nel funzionamento dell’effetto serra, ovvero in quel fenomeno che, nella giusta misura, è in grado di influenzare positivamente la temperatura terrestre rendendola ospitale per la vita, ma che se esasperato può portare ad un surriscaldamento globale, proprio come quello che è in atto.

La superficie del nostro pianeta, riscaldata dall’energia solare che arriva prevalentemente in forma di radiazione visibile e ultravioletta, riemette radiazione infrarossa verso lo spazio esterno. Se non ci fosse l’atmosfera tutta la radiazione emessa dalla terra verrebbe dispersa e la temperatura media del pianeta sarebbe di –18°C. Grazie alla “coperta termica” costituita dallo strato atmosferico, parte della radiazione infrarossa viene riflessa verso la superficie terrestre, apportando un ulteriore fonte di calore che consente alla temperatura media del pianeta di rimanere intorno ai 14°C. Questo è l’effetto serra, generato prevalentemente dalla presenza di CO2 e vapore acqueo nell’atmosfera.

 

Dalle caratteristiche dei gas che costituiscono l’atmosfera dipende la capacità di assorbire o meno la radiazione infrarossa (termica) emessa dalla terra.

Le principali molecole costituenti l’atmosfera sono l’azoto molecolare (N2) e l’ossigeno molecolare (O2). Queste molecole, pur caratterizzando pressoché la totalità dell’atmosfera terrestre, non concorrono all’effetto serra perché non interagiscono con la radiazione infrarossa, che viene assorbita invece dalle molecole di vapore d’acqua (H2O) e dall’anidride carbonica (CO2) e trasformata in aumento del movimento vibrazionale. Una volta che le molecole hanno assorbito la radiazione infrarossa che le ha fatte vibrare, la riemettono in tutte le direzioni; una parte di questa radiazione, quella irraggiata in direzione della superficie terrestre, contribuisce all’incremento della temperatura del pianeta.

Questo spiega come mai solo alcuni gas, come l’anidride carbonica, siano definiti climalteranti e altri no.

Altri gas con ruolo climalterante sono: il metano (rilasciato dalla fermentazione anaerobica della materia organica), il protossido di azoto (componente dei fertilizzanti azotati), i clorofluorocarburi (impiegati per molti decenni come refrigeranti, sono responsabili anche della riduzione dello strato di ozono stratosferico) e l’esafluoruro di zolfo (utilizzato soprattutto nelle apparecchiature elettriche di media e alta tensione grazie alle sue eccellenti proprietà dielettriche).

La presenza di CO2 nell’atmosfera terrestre è fondamentale per il mantenimento delle condizioni termiche accettabili per la vita, ma se la concentrazione di questo gas diventa troppo elevata sorgono i problemi di riscaldamento globale.

Il contributo antropico all’effetto serra nasce con l’era industriale, dalle emissioni in atmosfera di enormi quantitativi di gas climalteranti, tra i quali l’anidride carbonica che tra i gas serra è sicuramente quello che maggiormente contribuisce al riscaldamento globale.

L’impatto dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche

Tra i vari effetti che i cambiamenti climatici potranno avere sull’equilibrio dell’ecosistema terrestre se non ci sarà un’inversione di tendenza, c’è l’impatto sulle risorse idriche. L’aumento della temperatura ambientale può influenzare il ciclo dell’acqua e la salute dell’uomo attraverso una serie di eventi pericolosi di natura microbiologica e chimico-fisica, alcuni dei quali sono già in atto.

Nella seguente tabella sono evidenziati alcuni eventi pericolosi, per l’uomo e per l’ambiente, associati ai cambiamenti climatici.

Impatto dei cambiamenti climatici

Evento pericoloso

Alterazione della velocità con cui avvengono gli scambi d’acqua tra i vari comparti, l’evaporazione avviene con maggiore rapidità

I cambiamenti indotti nella circolazione atmosferica possono incrementare la disomogeneità delle precipitazioni, con l’inaridimento di alcune aree e l’aumento della piovosità in altre

Per ogni °C di aumento della temperatura corrisponde un incremento del 7% del contenuto di vapore acqueo, con un incremento complessivo delle precipitazioni

  • Intensificazione degli“eventi estremi” (alluvioni, siccità e ondate di calore) e delle precipitazioni meno frequenti ma più concentrate, le cosiddette“bombe d’acqua” in grado di incrementare il rischio idrogeologico con la formazione di frane, smottamenti e inondazioni
  • Mancato contenimento dei reflui nei depuratori a seguito di inondazioni con aumento del rilascio di patogeni nei corpi idrici recettori

Alterazione della disponibilità delle riserve idriche

  • Riduzione dei  ghiacciai e aumento del livello dei mari
  • Aumento della variabilità della portata dei corsi d’acqua
  • Alterazione del ricambio degli invasi artificiali e della loro profondità

Alterazione della qualità delle riserve idriche

  • Aumento dell’inquinamento biologico, del bloom algale e dell’eutrofizzazione dei corpi idrici superficiali, con  incremento del rischio sanitario.
  • Possibile alterazione delle risorse idriche nelle zone costiere causata da intrusioni saline nelle falde acquifere
  • Contaminazione di acquiferi poco profondi e allagamento di pozzi destinati all’uso potabile, con aumento della torbidità e della carica batterica

Le crescenti emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, oltre ad essere una delle principali cause del riscaldamento globale, sono anche in grado di influenzare gli equilibri degli ecosistemi marini. Gli oceani assorbono circa il 25% dell’anidride carbonica rilasciata nell'atmosfera, un fenomeno che contribuisce a rallentare l'effetto serra ma che rende le acque più acide, con possibili conseguenze per le barriere coralline, che costituiscono uno degli ecosistemi più ricchi di specie dell'intero pianeta, e per quegli organismi marini il cui scheletro ed il guscio sono costituiti da carbonato di calcio.

Gli scenari imposti dai cambiamenti climatici globali richiedono lungimiranza e nuove competenze nella gestione futura delle risorse idriche, presentando nuove sfide e opportunità per le aziende che operano nel settore del trattamento acque: dall’impiantistica industriale in uso tra i gestori d’acquedotto ai più piccoli erogatori d’acqua da installare al punto d’uso.

La qualità ambientale dell’acqua da bere

Tra le varie scelte virtuose che ogni cittadino può fare per il bene dell’ambiente c’è quella di privilegiare il consumo di acqua del rubinetto, magari migliorata con sistemi di microfiltrazione al punto d’uso, per contrastare l’immissione in atmosfera di gas climalteranti dovuti al trasporto dell’acqua in bottiglia.

Secondo l’ultimo Report di Mediobanca riguardante le acque confezionate, nel 2019 il mercato mondiale ha registrato un consumo complessivo di 387 miliardi di litri, con un giro di affari pari a 155 miliardi di euro. L’acqua confezionata risulta essere la bevanda più bevuta al mondo.

Se bere acqua in bottiglia è una scelta praticamente obbligata in quei paesi dove le acque di acquedotto non garantiscono la necessaria sicurezza igienica per essere consumate come bibita, come ad esempio Cina, India, Messico, Thailandia, ecc, diventa più difficile comprenderne il significato in un paese come il nostro dove gli acquedotti forniscono ai cittadini acqua mediamente di ottima qualità, seppur con variazioni quantitative e qualitative a livello regionale.

Con 222 litri pro-capite/anno ed una produzione di 15,13 miliardi di litri, l’Italia si attesta al secondo posto nel mondo per il consumo pro-capite di acqua confezionata; il primo spetta al Messico, dove peraltro la maggior parte delle acque in bottiglia è del tipo “purified water”, ovvero trattate con vari processi di potabilizzazione, affinamento e disinfezione quindi confezionate. Se si considerano soltanto le acque minerali naturali, il nostro paese detiene il primato mondiale nel consumo pro-capite.

In proposito può essere utile fare una riflessione sull’impatto ambientale del vetro, osannato da molti e considerato (erroneamente) il materiale più ecologico e pertanto preferibile per l’imbottigliamento dell’acqua. La linea per il vetro a rendere (VAR) richiede molta energia, utilizza reagenti chimici, necessita di accurati controlli e genera rifiuti. I residui di tipo solido sono i tappi e le etichette, mentre le acque reflue generate dai processi di lavaggio delle bottiglie richiedono un trattamento fisico-chimico, che viene svolto attraverso un depuratore interno allo stabilimento, per poter poi essere scaricate.

Il riutilizzo, in sé, non è quindi sinonimo di sostenibilità. Occorre considerare anche altri parametri, primo fra tutti quello del trasporto delle bottiglie. Tale impatto ambientale, misurato con il sistema LCA (Life Cycle Assessment) che consente di fare una valutazione per un determinato materiale per il suo intero ciclo di vita, dalla fabbricazione alla dismissione, risulta per il VAR addirittura superiore a quello dei contenitori in PET, come dimostrano alcuni recenti studi che hanno messo a confronto l’impatto sull’ambiente associato all’uso dei  contenitori in PET e in vetro a rendere[3].

Le acque di acquedotto sono invece a “km zero”, perché attraverso una rete di distribuzione vengono consegnate direttamente al rubinetto. Per le acque in bottiglia è vero il contrario: confezionate presso lo stabilimento vengono trasportate, spesso anche in luoghi molto lontani, presso centri i di distribuzione e i negozi dove la si va ad acquistare.

Alcuni stabilimenti di imbottigliamento superano il miliardo di bottiglie confezionate all’anno, numeri importanti che spiegano perchè alcune marche confezionate nel sud Italia si trovano al nord e viceversa.

Il trasporto su lunghe distanze delle bottiglie implica notevoli emissioni di gas climalteranti.

La movimentazione dell’acqua confezionata avviene per circa l’80% su gomma, con TIR che mediamente consumano 1 litro di gasolio ogni 3 km percorsi. Sapendo che la combustione di 1 L di gasolio genera circa 2,61 kg di CO2 si può stimare che l’emissione complessiva di anidride carbonica in atmosfera, per il solo trasporto dell’acqua in bottiglia nel nostro Paese, sia dell’ordine delle centinaia di migliaia di tonnellate ogni anno.

L’emissione di gas climalteranti dovuti al trasporto, le risorse necessarie per produrre il PET (acqua e petrolio) e l’eventuale mancato smaltimento/riciclo a fine vita dei contenitori, sono le principali cause di impatto ambientale dovuto al consumo di acqua confezionata.

Un recente studio del Barcelona Institute for Global Health (BIGH)[4] evidenzia come l’acqua minerale in bottiglie di plastica sia 3500 volte più impattante per l’ambiente rispetto all’acqua del rubinetto; la ricerca ha preso in considerazione diversi parametri per la valutazione dell’impatto sull’ambiente e la salute dei consumatori attraverso il Life Cycle Assessment (LCA) delle varie tipologie di acqua da bere: rubinetto, confezionata e microfiltrata.

Le istituzioni e i cittadini stanno iniziando a comprendere il valore ambientale dell’acqua di rete, premiandone il consumo a casa, in ufficio e al ristorante, come valida alternativa alle acque confezionate. La diffusione esponenziale delle borracce che si è avuta negli ultimi anni, in sostituzione delle bottigliette da ½ litro di minerale in plastica usa e getta ne è la prova.

Un piccolo e semplice gesto che, moltiplicato per un grande numero di persone, può portare ad un grande risultato per l’ambiente.

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