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Serraj: "Haftar ha tradito la Libia e l'Onu, 800 mila migranti pronti a  partire. Isis di nuovo in azione" - la Repubblica

Dopo 4 anni e mezzo di guida di un governo speranzosamente definito Governo di Accordo Nazionale della Libia -l’Esecutivo sponsorizzato dalle Nazioni Unite nel tentativo di organizzare elezioni e pacificare il Paese- Fayez al Serraj ha gettato la spugna. Dalla tv di Stato ha annunciato le dimissioni entro fine ottobre, dichiarando la sua «sincera intenzione di cedere l’autorità del suo governo entro fine ottobre a un nuovo esecutivo. L’orizzonte sono i negoziati di Ginevra. L’auspicio che in tale sede «la commissione per il dialogo finisca il suo lavoro e scelga un consiglio presidenziale e un primo ministro».

Poche ore fa, Germania e Nazioni Unite hanno annunciato un vertice online, previsto per il 5 ottobre, sulla Libia, al quale parteciperanno il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, i Ministri degli Esteri e rappresentanti delle parti in conflitto in Libia, nonché rappresentanti di Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Repubblica del Congo, Italia, Egitto e Algeria, oltre a Unione europea, Unione africana e la Lega Araba.

Sempre nella mattinata di oggi, ‘Libya Herald’ ha informato che il Ministero degli Interni di Tripoli ha annunciato la creazione di «un meccanismo e un programma» per la categorizzazione, il disarmo, la smobilitazione e il reintegro (Ddr) delle milizie. Con il decreto emanato viene istituita una commissione per la creazione di un database delle milizie, le quali che verranno classificate in tre gruppi: le milizie inserite nei gruppi verde e giallo saranno reintegrate e riabilitate, quelle nel gruppo rosso che verranno sciolte.
L’iniziativa di classificazione era stata originariamente affidata alla Warriors Affairs Commission (Wac), che nel marzo di sei anni fa era poi diventata il Libyan Programme for Reintegration and Development (Lprd). Impresa mai portata a termine causa la «realtà della politica libica», una ‘realtà’ che ha fatto si che le «milizie oggi gestiscono il Paese dietro una facciata di governo civile», afferma la testata. Che è poi uno dei problemi al centro della crisi libica e delle critiche rivolte a Serraj, dell’oggettiva impossibilità di Serraj di portare a termine la sua iniziale missione -la sua conclamata debolezza e, alla fine, il ‘fallimento’ del suo governo,derivavano dal fatto che Serraj era ostaggio delle milizie, suo braccio armato e fardello politico.

 

L’annuncio di creazione di un database delle milizie potrebbe essere un segnale importante nella direzione auspicata da molti degli osservatori sul terreno, e che ancora oggi Karim Mezran, Senior Fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East, a ‘Adnkronos International’ sintetizza così: ora si tratta di «porre fine alla distinzione tra forze politiche e milizie», «le milizie hanno un ruolo politico e i politici hanno un ruolo militare».
Se una soluzione per le milizie viene individuata e unanimemente accettata, «le varie forze politiche dovranno trovare il modo di incontrarsi e qui sta la capacità della comunità internazionale di nominare qualcuno all’Unsmil (la Missione di supporto dell’Onu in Libia) che sia efficace dal punto di vista pratico, negoziale», nel creare le condizioni in cui «le forze politiche possano incontrarsi, parlando di interessi politici ed economici e trovare una soluzione».

 

La fase che si apre oggi in Libia appare molto confusa e secondo gli osservatori, tra i quali Mezran, pericolosissima.
L’attivismo delle varie fazioni politiche, piuttosto che delle milizie, per una lotta di potere che da troppo si sta consumando nel Paese potrebbe portare a scontri diffusi. Allo scontro interno, e sullo scontro interno, peseranno gli interessi e relativi scontri politico-diplomatici dei vari attori internazionali coinvolti sullo scenario libico, i ‘padrini’ di Serraj e del generale Khalifa Haftar. Tutti al tavolo del 5 ottobre. E tra questi, anche l’Italia, per la quale la partita libica è sempre più a rischio, insieme ai molti interessi petroliferi e non solo che sono in gioco.

 

Abbiamo intervistato Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia. Marsiglia conosce bene, per praticarlo da anni, lo scenario libico, la sua lucidità e concretezza di analisi è sempre preziosa per farsi un quadro chiaro e immediato di quanto in quel Paese sta accadendo e accadrà.

 

Presidente, Serraj lascia. Se lo aspettava? E come, secondo lei, è’ arrivato a questa decisione? Spinto da chi è da cosa?

Mi viene da rispondere con un sorriso: ha detto che lascia ad Ottobre, o meglio, entro fine ottobre. Da qui ad Ottobre ‘in Libia’ può succedere di tutto. Suona al mondo intero come una pubblicità quella fatta da Sarraj e non come una vera decisione. Attendere Ottobre, in coincidenza con il vertice di Ginevra, ha un suono strano. Consideriamo poi che due/tre settimane in queste decisioni politiche e diplomatiche sono un’infinità di tempo, quindi davvero può succedere di tutto. La notizia sorprende un po tutti, nonostante le indiscrezioni nell’aria da qualche settimana, sorprende il modo, ripeto, e anche che il primo media a dare la news sia stata proprio ‘France24’, sarà una coincidenza con i nostri amici francesi, parlo ‘petroliferamente’. A nostro avviso una dichiarazione manovrata, non spontanea, dettata da terzi che in Libia manifestano appetiti politici ed industriali da tempo. Sicuramente Sarraj starà attento a cosa vorranno fare a Ginevra, una cosa però è certa, l’ONU in questo momento risulta aver perso la sua leadership.

Pare che anche il generale si stia defilando!

 

Il discorso sulla posizione di Haftar è diverso. Ci troviamo in una forza a compagine militare e con strategie diverse. Il non far sentire la propria voce, in questo caso come in tanti altri, specialmente in Medio Oriente, non vuol dire abbandonare il campo. Forse Haftar ha deciso di mantenere un low-profile perché già informato della decisione di Sarraj che poi ha annunciato ieri sera. Se tutto questa tesi si rivelasse esatta, vuol dire che chi veramente era in difficoltà è il Governo di Tripoli e non quello di Tobruk.

Sono stati gli alleati dei due, dunque, a costruire l’operazione?

La presenza di forze e parti politiche esterne non è più un mistero, se consideriamo che anche gli Stati Uniti, qualche tempo fa, organizzarono alcuni incontri. Come con FederPetroli Italia abbiamo sempre osservato e portato all’attenzione anche delle nostre strutture, in Libia da tempo si è formata sempre più una scena di Paesi terzi pronti ad una conquista avida delle risorse petrolifere, nel momento che ci fosse stata la svolta politica. Non credo assolutamente che Sarraj abbia maturato una tale decisione senza una moneta di scambio, bisognerà capire quale, ma questo lo si potrà vedere e capire meglio solo nelle prossime ore.

Cosa ci dobbiamo attendere ora? Chi sono i nuovi leader che li sostituiranno?

 

Il toto nomine è diverso da quello che vediamo in Italia. Nel nostro Paese tutti sono candidati a fare i premier o ad essere leader, in Medio Oriente e Africa, e, specialmente in Libia, è diverso. Il problema è che potrebbe verificarsi una presa di ruolo da parte di una figura super partes agli attuali schieramenti politici e di conflitto, e, insediare una figura esterna al Paese. Questo però può essere un valore aggiunto da una parte e un grande problema da un’altra, più volte abbiamo detto che i problemi della Libia si risolvono in Libia e con persone libiche, una figura esterna non si sa quanto potrebbe essere gradita in un processo di pace futuro.

Come si metterà ora per l’Italia?

In Italia siamo fermi a qualche settimana fa con la visita in Libia del nostro Ministero degli Affari Esteri, Luigi Di Maio, altro non si sa. Dove sia l’Italia in questo momento e quale ruolo abbia è un mistero. La cosa certa e che ci sono le Elezioni il 20 e 21 Settembre in Italia, ma i libici non votano e tanto meno la Comunità Internazionale. La ‘politica estera’ italiana da tempo non riusciamo a capire quale sia e se ci sia.

 

Che farà’ ora la Turchia?

Questo è il vero problema per l’Italia…e per altri. Ricordiamoci che siamo in una posizione diplomatica molto delicata con Ankara. Il debito deve ancora essere riscosso dai turchi, mi riferisco alla vicenda di Silvia Romano, dove ad oggi l’Italia ha riconosciuto alla Turchia un ruolo fondamentale nella liberazione della cooperante italiana. Un altro aspetto però, come più volte anche la Farnesina ha dichiarato ed attaccato, è il mancato rispetto della Turchia degli accordi internazionali nella Ricerca ed Esplorazione delle risorse energetiche, mi riferisco al grande bacino petrolifero di Cipro, dove Saipem è stata bloccata in operazioni di prospezione ed ENI è coinvolta per lo sfruttamento delle risorse energetiche. La Turchia in questi ultimi anni ha fatto da sponsor dichiarato nelle posizioni libiche e non ha mai nascosto il grande interesse per le risorse energetiche interne che per quelle Offshore a largo della Libia. Certamente qualcosa alla Turchia toccherà, speriamo solo che non sarà la fetta di mercato dell’Italia.

Cosa si attende per il business italiano in Libia, nello specifico il business del petrolio?

 

L’unica garanzia che l’indotto dell’Oil & Gas italiano ha in Libia si chiama ENI. Spiego anche il perché. ENI in Libia ha una posizione di partner strategico perché gran parte delle risorse estratte dal sottosuolo solo impiegate per usi interni al Paese. Quindi ENI figura come un operatore indispensabile alla gestione della rete energetica della Libia. E’ una posizione diversa da altre major petrolifere che realizzano e producono da loro giacimenti e poi esportano il greggio all’esterno. Quindi avendo questo ruolo strategico per forza di cose siamo ‘tutelati’. Però non si sa fino a quando! Una Compagnia Petrolifera in un Paese estero specialmente non può operare da sola, voglio dire che la politica industriale di espansione deve assolutamente essere preceduta ed affiancata dalla ‘Politica’ vera e propria, e da continui rapporti tra le cancellerie e i ministeri dei due Paesi. Su questo ultimo punto abbiamo un po di dubbi. La Libia negli ultimi tempi si è sentita abbandonata dall’Italia, unico Paese con cui veramente ha fatto coppia negli ultimi 50 anni. Oggi la nostra posizione è delicata.

Come si muoverà FederPetroli Italia in questo momento?

 

Continuiamo la nostra attività, anzi, da mesi abbiamo ripreso la partecipazione alle gare pubblicate da NOC (National Oil Corporation) e Mellitah Oil & Gas, nonché altri possibili asset in Libia. Fortunatamente anche i meeting hanno avuto una ripresa nel dopo Covid-19 o almeno in una fase di ripartenza. Il nostro interesse per il Medio Oriente oggi più che mai è alto, molti Paesi dell’Area sono in una seconda fase di sviluppo e dopo Covid, sembrerà strano, l’ala mediorientale è ancora più forte, questo lo si è potuto vedere anche durante alcune manovre in piena emergenza da coronavirus che sia l’Arabia Saudita che altri Paesi hanno messo in atto nell’ambito petrolifero. Se poi allarghiamo la nostra fotografia e ci spostiamo non di tanto dalla parte più estrema del Medio Oriente, la Libia rientra in quella zona chiamata Africa. L’Africa per Oil & Gas internazionale è oggi l’Area a più alto potenziale di sviluppo per l’idrocarburo e con risorse immense sia di olio che di gas. Tutti i più grandi players mondiali sono in gioco in Africa, basta guardare Congo, Angola ed altri Paesi, oltre alla famosa Nigeria, nonché il nuovo Eldorado chiamato Mozambico dove Exxon, Total ed altri nonché la nostra ENI sono impegnate ai massimi livelli per lo sviluppo di importanti giacimenti Offshore ed Onshore, Gas Naturale Liquefatto (GNL) in primis. Quindi FederPetroli Italia va avanti nei programmi di sviluppo e nelle pianificazioni industriali e, visto che era in programma un mio viaggio in Libia in settembre, attenderemo futuri e positivi sviluppi.

 

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