Un caso di stalking al femminile (foto d'archivio)

Anni fa sono stata vittima di stalking. Mi sembrava di vivere sotto assedio. Avevo paura ad uscire di casa, ma tremavo anche quando dovevo accendere il cellulare o leggere la posta elettronica. Ero annichilita sul piano fisico e su quello mentale. Mi sembrava impossibile, ma stava capitando proprio a me.

Avevo dimenticato – o quanto meno accantonato – quella sensazione fino a qualche mese fa, quando un telefono che squillava a tutte le ore ha scombussolato la mia routine. Questa volta la vittima era il mio fidanzato, la violenza declinata attraverso centinaia di messaggi, decine di telefonate ed email. Mi si sbatteva in faccia quel fenomeno raro, ma ugualmente devastante, che va a battesimo come stalking femminile. «Secondo recenti stime», mi spiega la psicoterapeuta Margherita Carlini, «riguarda il 30 per cento dei casi complessivi. L’attività persecutoria dell’uomo, però, è molto diversa da quella femminile. L’uomo alla fine di una relazione punta a continuare il rapporto, perché nella sua ottica è sempre preferibile un non legame al nulla assoluto, mentre le donne si rivelano più sottili. Non bisogna dimenticare che lo stalking maschile, declinato attraverso violenza verbale e fisica, può essere considerato un campanello d’allarme importante per i femminicidi. Il rischio di omicidio, quando ad agire è una donna, invece è statisticamente molto più basso». Le sofferenze inflitte sono perlopiù psicologiche, con esiti devastanti anche sulla lunga durata. Me lo conferma P., scrittore, che mi racconta la sua storia come fosse un romanzo. O, forse e piuttosto, un incubo: «Una vita insieme. Fidanzati già al liceo, dopo l’università andiamo a convivere. Poi, lentamente, l’amore si esaurisce e lei non lo accetta. La lascio, ma subito capisco che non sarà facile. Comincia ad appostarsi sotto casa dei miei genitori, mi segue al lavoro, quando sono in giro. Smetto di frequentare i miei amici storici perché sono amici comuni. Cambio locali. Alla fine mi trasferisco in un altro quartiere. Finisco in analisi perché non reggo la situazione. Sono tormentato dai dubbi. Mi chiedo: non è che sto sbagliando io?».

Dopo un anno, P. incontra una ragazza, inizia una nuova relazione. Il passato, però, è sempre in agguato. «Continuava a tartassarmi di messaggi», ricorda, con la voce che trema. «Le cose cambiano quando, poco prima del decollo per Parigi con la mia nuova compagna, mi scrive: spero che l’aereo cada e che voi moriate. Non ci ho visto più. L’ho chiamata e le ho detto che speravo accadesse qualcosa di altrettanto brutto a lei. Prima di allora non ero mai stato aggressivo. Ma alla fine ci era riuscita: mi aveva esasperato, aveva tirato fuori la parte peggiore di me». In quel momento qualcosa si trasforma e la situazione cambia: la stalker si tranquillizza un po’, inizia a scrivere e a telefonare di meno. «Adesso sono passati quattro anni, lei ha un figlio. Non è ancora scomparsa dalla mia vita, ma non c’è paragone rispetto a un tempo. Del suo comportamento, però, io risento ancora oggi: non ho mai recuperato i vecchi amici, evito i posti dove so che va lei, ho sempre l’ansia di incontrarla. Non ho avuto il coraggio di denunciarla perché mi dispiaceva per i suoi genitori, e poi avevo paura che potesse fare qualcosa di folle, avevo paura di non essere creduto. Alla mia compagna non ne ho mai parlato. Mi sentivo responsabile di quello che succedeva. E poi temevo di perderla. Se fosse capitato, sarei crollato». 

La storia di P. È più comune di quanto si pensi. «La donna», evidenzia la psichiatra Donatella Marazziti dell’Università di Pisa, «si rivela sottile, mira a demolire psicologicamente l’ex compagno, distruggendone l’autostima e le certezze. La violenza fisica da parte delle donne è rara, spesso i partner non cercano supporto perché si vergognano profondamente. In tutta la mia carriera ne ricordo uno soltanto. Venne al pronto soccorso con la faccia tutta graffiata, lei lo aveva aggredito fino a sfigurarlo perché lui voleva divorziare». Una storia molto simile a quella di Claudia, tutta la vita con un uomo che poi la lascia per la segretaria. «Avevamo appena fatto il terzo figlio. Sono letteralmente impazzita. Andavo sotto casa loro a tutte le ore. Lo minacciavo per telefono. Lo offendevo. Lo odiavo con tutta me stessa. Li seguii in Sardegna. Volevo vedere se avrebbe fatto con lei le stesse cose che avevamo condiviso per vent’anni. Ho buttato così dieci anni della mia vita. Prigioniera di un ricordo e di un’ossessione».

Per una donna pentita, però, ce n’è altre che ricordano i pedinamenti, le notti insonni a mandare messaggi, i fine settimana dedicati a intasare la segreteria telefonica con un sadico sorriso sulle labbra: «Gli ho rovinato la vita, esattamente come lui ha fatto con me. Ci siamo lasciati senza motivo, e fino a quando non ha minacciato il suicidio non ho smesso. Se dovessi tornare indietro, però, continuerei: la solitudine che ho provato non la posso dimenticare, se mi concentro sento ancora quel dolore dentro il petto che ho avvertito quando mi ha detto che fra di noi era finita. Gli avevo dedicato la vita, ma non era bastata». Stalking è anche quello perpetrato da donne nei confronti di donne, o da donne che molestano a seguito di un rifiuto. È la storia di Davide, commercialista che vuole restare anonimo perché “non si sa mai”. La sua vita cambia durante una cena a casa di amici. Fra un bicchiere di vino e un sorriso, conosce K. con cui scambia il numero di telefono. «Ma non siamo mai stati insieme», spiega. «Ci sono stati un paio di messaggi di cortesia e poi, dopo qualche giorno di silenzio, lei ha iniziato a propormi di uscire: aperitivi, concerti, mostre, presentazioni di libri. Il modo con cui domandava era abbastanza insolito, pressante, ansiogeno. Dopo i miei rifiuti, ha iniziato a inviarmi screenshot dei profili di alcune amiche che su Facebook mettevano like ai miei post. Mi chiedeva se rifiutavo perché avessi una relazione con ragazze che, senza alcuna logica, selezionava. Le dissi di smetterla e per qualche tempo fu quieta. Un giorno, senza che prima avessimo avuto altri contatti, mi scrisse che sarebbe andata in giro a dire che l’avevo molestata. La situazione si stava facendo insostenibile. Immediatamente andai dalla polizia di Stato per presentare prima un esposto cautelativo e successivamente una querela. Mi sembrava un incubo. Avevo il timore di infilarmi in una di quelle storie da serie tv americana. Nel braccio della morte per una falsità. Però, quando mi sono rivolto alla polizia postale, mi sono calmato. Da allora non ci siamo più sentiti. Sono passati due anni ma, se devo essere sincero, quando sento il telefono squillare insistentemente mi spavento. È più forte di me e il pensiero, senza che me ne accorga, torna verso di lei».