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Risultati immagini per enzo longobardiSimm e Napule paisà ed il dovere della resilienza. Da Dostoevskij a Eduardo, fino alla Ginestra

La II guerra mondiale fu il più devastante conflitto mai combattuto dall’uomo. Napoli fu la città italiana più bombardata, polvere e macerie.

Legittimo fu allora alla fine della guerra, il desiderio dei napoletani di rimuovere quegli anni terribili, riscoprire la vita, sperare nel futuro restituendo un senso individuale a quella immane tragedia collettiva.Tutto ciò fu incarnato da una famosa canzone, Simmo ‘e Napule paisà. Scritta nel 1944 da Peppino Fiorelli e musicata da Nicola Valente, la canzone fu per anni fraintesa, per quel refrain Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdámmoce ‘o passato,simmo ‘e Napule paisá! considerato da chi si era sempre opposto al fascismo come un vergognoso colpo di spugna sui vent’anni di regime.

La storia della canzone è quella di un marito e moglie, che contro le brutture della guerra, decidono di fare un giro in carrozzella indossando il vestito delle feste. Un modo per guardare avanti a testa alta, con la speranza di vivere il futuro in maniera dignitosa. Durante il viaggio l’uomo inizia a farsi domande esistenziali e dinnanzi alla sua vecchia casa che lo aveva visto crescere insieme ai suoi genitori, ormai morti, non può che scoppiare in lacrime. Sofferenza breve perché i baci della moglie e la voglia di ricominciare, di progettare il futuro insieme con positività prendono il sopravvento.

Una canzone che è una grande metafora della resilienza umana: la necessità di risorgere dalle macerie, non ignorando o evitando la sofferenza ma guardando alle avversità passate, per ricavarne lezioni utili. Smettendo di dare la colpa agli altri ed intristirsi, ma spostando l’attenzione su cosa bisogna fare per cambiare le cose. Di chi oggi, potremmo dire, non affida ai social la sua frustrazione ma la cambia in prima persona nella realtà.

Potremmo citare allora “I fratelli Karamazov” ultimo bellissimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, vertice della sua produzione letteraria, eterna lotta tra dubbio e ragione, tra bene e male. In uno dei capitoli, c'è un bellissimo passaggio, nel discorso di Ivan Karamazov a suo fratello Alioscia, nel quale egli spiega al fratello, rivelandoglisi per la prima volta a cuore aperto, il suo amore per la vita, a dispetto dei suoi stessi pessimisti convincimenti filosofici e morali: «Sul nostro pianeta c'è ancora moltissima forza centripeta, Alësa. Abbiamo voglia di vivere, e io vivo, magari a dispetto della logica! Ammettiamo pure che non creda nell'ordine delle cose: ma mi sono care le foglioline viscose che si aprono a primavera, mi è caro il cielo azzurro, mi sono care certe persone, che a volte, ci credi?, uno non sa nemmeno perché gli siano così care, e mi sono cari tanti ideali umani, nei quali forse non ho più fede da un pezzo,  ma che il cuore continua a venerare come vecchi ricordi»

Quelle foglioline viscose primaverili, quel cielo azzurro, di cui parla Ivan Karamazov, riassumono l'incanto del mondo, la migliore risposta alle domande: perché ricominciare, con quali forze, verso quale meta? Qui Dostoevskij approfondisce il problema, con una ulteriore scena. Un ateo, Ipolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo”? Il principe senza rispondere si avviò verso la casa di un giovane agonizzante. Lì rimase per ore pieno di compassione e amore finché il giovane spirò. La sua morale era: è la bellezza che ci porta all’amore condiviso con il dolore; il mondo sarà salvo fin quando ci saranno gesti come questi, di verità e bontà dell'uomo. Ragioni tali sulla necessità di imprimere una svolta alla nostra vita, ricominciare. In termini religiosi prendendo spunto dal Vangelo di Giovanni, 3, 3): «Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente».

Ma potremmo citare anche Napoli Milionaria di Eduardo e la sua scena emblematica e finale, quella in cui Amalia e Gennaro restano da soli a discutere di cosa sia accaduto e perché, come sia stato possibile arrivare a quel punto e come fare per ricostruire tutto:“ Ha da passà a nuttata" , che Eduardo ripete per ben tre volte arricchendo di valenze simboliche quella che sembra una frase banale. Quante volte l’abbiamo pronunciata come incoraggiamento verso un amico in difficoltà e quante altre l’abbiamo ripetuta a noi stessi, quando ci sembrava che le cose non andassero per il verso giusto. Ha da passà ‘a nuttata. Potenza catartica delle parole ma anche metafora di un Sud che non riesce ancora a farsi valere perché troppo riluttante a specchiarsi in ciò che sa; lo aveva già detto Leopardi nella Ginestra composta «su l’arida schiena / del formidabil monte / sterminator Vesevo»: «Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco».

Enzo Longobardi

docente di marketing turistico e local development

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