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Versi e canti della tradizione dialettale del Sud in unico spettacolo dal titolo “Poveri Cristi” di e con Gennaro Di Colandrea e Valentina Elia in scena  al Nest - Napoli est Teatro - il 10 e 11 novembre. Da Jacopone da Todi a Mimmo Borrelli, passando per Russo, Trilussa, Di Giacomo, Viviani, Eduardo, Buttitta, Profazio, Balistreri, Sovente, sarà un viaggio nella poesia dialettale con gli arrangiamenti di Anna Della Ragione e le percussione di Antonio Della Ragione.

 Protagonista dello spettacolo è il canto dei “Poveri Cristi” a volte rassegnato, faticoso, intimo e disperato, a volte gioioso e di speranza: è l’espressione delle loro gioie e dolori. È un canto in dialetti dell’Italia del Sud ma è di tutti i “poveri cristi” della Terra. Si “canta” il sud dell’anima, ovvero tutte quelle zone e quei temi che riguardano la diversità, l’esclusione, l’emarginazione. Si “canta” la speranza di una vita da “cristiani”, riferendosi ad un piano laico del termine: una vita umana, dove ognuno si prenda cura non solo di se ma anche del resto del genere umano: l’Umanità. Perché la scelta del dialetto? Dal punto di vista culturale (e dalla cultura, soprattutto modus vivendi) linguistica, l'Italia non ha una propria identità nazionale: la sua identità è nella conservazione delle particolarità e delle differenze. Ci sono tante identità regionali, culture e idiomi nel nostro paese che sono espressione delle radici storiche e culturali che hanno formato i diversi "popoli" che abitano l'Italia. In ogni dialetto c'è la loro peculiarità, la loro arcaica, la loro genuinità e la loro purezza che li distingue. Nonostante i vari tentativi di omogeneizzare e creare "l'uomo italiano", per fortuna il dialetto resiste e vive più forte di prima. La cancellazione significa spazzare via la cultura italiana.

 Il Regista

Il nostro viaggio parte dal primo “povero Cristo” (suo malgrado) Adamo, passando per colui che dà il titolo allo spettacolo, fino ad arrivare a storie in versi di “poveri Cristi” più comuni: un soldato che racconta il suo disperato gesto di umanità verso un suo commilitone, un pescatore di frodo monco che racconta gli abusi da parte del padre, una donna violentata e accolta dal mare che ne fa un delfino, un uomo che abbandona la sua Sicilia per cercare fortuna nelle miniere di Marcinelle che poi diventeranno la sua tomba, un uomo che prega San Pietro di accoglierlo in Paradiso dopo una vita di Inferno, una comunità di contadini che spera in una discesa di Cristo dalla Croce, affinchè li liberi da una vita fatta solo di nulla, fatta solo di miseria e “fatica”. In generale canti e “cunti” di disperazione e speranza, che sanno di mare e di terra, di campane suonate a morto o a festa. La tragedia dell’uomo è affrontata in questo nostro viaggio, in questa cerimonia laica (lo stesso spazio scenico è costituito da due leggii-pulpiti e croci di materiali diversi da dove gli attori cantano e “cuntano” le diverse vicende), col riso, quello amaro, quello che fa riflettere, con l’ironia che contraddistingue il Sud. Il Sud non solo d’Italia, dicevamo, ma un Sud dell’anima.

Ci piace terminare la performance con un canto di gioia, festa propiziatoria, come augurio per una “presta guarigione” dell’uomo: un canto di speranza. (Gennaro Di Colandrea)

 

 

 

 

 

 

Napoli Est Teatro - Via Bernardino Martirano, 17

San Giovanni a Teduccio-Napoli

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