enzo buona"SASICCE E FRIARIELL", LA STORIA DEL PIU' FAMOSO PIATTO INVERNALE NAPOLETANO

Un caposaldo, per i napoletani una icona intoccabile, il secondo piatto per eccellenza della domenica partenopea con delle radici storiche profonde. Innanzitutto, perché si chiamano friarielli? Si chiamano Friarielli (da " frjere ", friggere) perché il modo migliore di prepararli è di lavarli in acqua abbondante, e senza farli troppo sgocciolare trasferirli immediatamente in una padella con extravergine ove sfrigolano aglio e peperoncino piccante.

I friarielli in Campania sono coltivati prevalentemente nelle zone di Afragola, Acerra, Aversa, Caivano, Cardito, Casoria e nelle province di Avellino e Benevento e nella piana del Sele, nel Casertano, nell’agro nocerino sarnese, nel napoletano e in alcune parti della Piana del Sele. Raccontare la storia e l’origine dei friarielli napoletani, significa anche evocare tutto il gusto di una verdura delle campagne napoletane.

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A Napoli erano coltivati in particolare sul Vomero, noto infatti come “‘o colle d’ ‘e friarielle“ per almeno due fattori: la semina a spaglio, che escludeva il trapianto e il terreno prospiciente il mare, di origine vulcanica, ricco di oligoelementi, che poi si ritrovavano nelle verdure. Ai tempi dei Borboni ma anche in precedenza, la città era tutta un orto terrazzato. Infatti, prima di esser chiamati mangia maccheroni, i napoletani erano descritti nel seicento come “magna foglie” per il loro amore smisurato verso le verdure crude e cotte da preparare in ogni modo. Nel periodo di maggior povertà, le donne napoletane, le “zandraglie”, si recavano nelle case nobili, dove i “Monsù”, i cuochi d’Oltralpe, elargivano avanzi di cibo, un modo per far fronte alla fame. I napoletani iniziarono a rendersi conto che per assicurarsi il cibo quotidiano avrebbero dovuto “puntare” allora su alimenti umili e poveri, come le cime di rapa. Iniziarono così a cogliere gli ammassi floreali non ancora aperti delle rape ed a cucinarli, aggiungendo lo strutto, a nzogn, per dare sapore e rende estremamente caloriche. Oggi lo strutto è stato sostituito con l’olio extravergine d’oliva. Secondo il Comitato degli Abitanti di Materdei, ci sarebbe anche una data precisa per la nascita dei friarielli, febbraio 1694. La fonte sarebbe la “Historia della vulgata”, scritta da monaci del Convento dei Frati Crocefissi e Cappuccini dei Decumani Maggiori e dalle monache Addolorata e Piangenti dei Miracoli dei Decumani Minori. Si narra che la ricetta dei friarielli sia nata in un vicolo di Materdei, da una signora che aveva un “vascio” (basso, tipiche case popolari situate al piano terra con l’accesso diretto dalla strada) che fungeva da negozio per la vendita di pizzette fritte con il pomodoro. Ogni giorno la signora preparava una grande pentola nella quale ci metteva della sugna e dell’aglio a soffriggere e dove poi immergeva delle pizzette di farina gialla (o’ scagnuozzo) per la cottura. Un giorno, l’aiutante della signora si rese conto che erano finiti i pomodori e che non avrebbero potuto proseguire con la vendita e le portò l’unica cosa che era rimasta nel retro bottega: i broccoletti. Innervosita dalla situazione la signora gettò i broccoletti nell’olio bollente senza curarsene. Dopo qualche istante il negozietto si riempì di un odorino mai sentito, eccezionale, un miracolo culinario. Nacquero così i friarielli e fu subito festa a Napoli. Vera o falsa questa storia, i friarielli in padella restano una ricetta degli abitanti di Materdei, tanto che, nel periodo tra la fine dell’autunno e l’inizio della primavera, il periodo migliore per la loro raccolta, vengono organizzate sagre a base di friarielli.

Oggi i friarielli napoletani formano un binomio indissolubile, con la salsiccia di maiale. Come recita un antico detto napoletano: «'A sasicc' è 'a mort d' 'o friariell'».  Friarielli non troppo fioriti e salsicce dette “a punta di coltello”, cioè carne non macinata, ma tagliata al coltello in pezzi grossolani, impastata con vino, più raramente semi di finocchietto, e insaccata. Un'accoppiata tanto vincente da dire che la pizza con salsiccia e friarielli sia stata la prima variante della piazza margherita.

Ma non è finita. Sempre in Campania, ma non a Napoli, con il termine Friariello o “Peperunciello e’ ciumm” si indicano i peperoni verdi o di fiume, di 5-6 cm di lunghezza e di colore verde scuro. Si producono nella provincia di Napoli e Salerno. Nel capoluogo campano sono chiamati Puparulilli o “Puparulilli d’o Sciummo (del fiume)” per distinguerli dai più famosi friarielli! Perché “di fiume”? Poiché il loro territorio di elezione sono le campagne acquitrinose che contornano i canali delle parule (appezzamenti di terreno coltivati) napoletane.

*docente di marketing turistico e local development